Il Miur ha messo a punto un meccanismo di valutazione dei capi d’istituto. Andrea Gavosto su La Stampa ne commenta pregi e difetti
I dirigenti scolastici sono usciti dai radar dell’opinione pubblica, dopo essere stati al centro di molte polemiche la scorsa estate per via delle nuove responsabilità che la riforma della Buona Scuola intendeva assegnare loro, in particolare, la facoltà di scegliere e chiamare nella propria scuola i docenti ritenuti più adatti e coerenti con i piani di miglioramento, attingendo dai nuovi ambiti territoriali.
La recente messa a punto da parte del Miur del nuovo sistema di valutazione dei presidi è l’occasione per tornare a parlare del loro ruolo, davvero centrale per la scuola dell’autonomia.
Lo fa Andrea Gavosto, commentando il nuovo sistema sulle colonne de La Stampa del 13 luglio.
Muovendo dal sacrosanto principio che il dirigente scolastico va valutato nel suo operato secondo regole certe e trasparenti, il direttore della Fondazione Agnelli valuta nel complesso positivamente la nuova procedura valutativa, che sembra fornire sulla carta un efficace strumento per dare conto delle decisioni dei DS nella loro funzione, controbilanciando i nuovi poteri che la legge assegna loro e che molti in passato – talvolta in modo pretestuoso – avevano contestato.
Gavosto, però, evidenzia due punti che suscitano perplessità:
1) il rischio che nella procedura di valutazione eccessivo peso venga dato agli obiettivi definti dal RAV, alla definizione del quale il dirigente scolastico dà il proprio contributo. Toccherà ai direttori regionali, a cui la valutazione dei DS è in capo, sorvegliare che gli obiettivi siano adeguati: realistici, ma non laschi e generici, troppo facili da raggiunegere;
2) in base al principio che è possibile valutare soltanto le azioni per le quali il dirigente scolastico assuma effettive responsabilità e abbia autonoma facoltà di decisione, non è condivisibile e sembra anzi in contrasto con lo spirito della legge 107 il passo indietro di recente compiuto sulla chiamata dei docenti dagli ambiti. L’accordo fra Miur e sindacati della scorsa settimana – se lo interpretiamo correttamente – sembra affidare la procedura a un sistema di graduatorie con requisiti definiti da una tabella titoli a livello nazionale e punteggi rigidi, senza lasciare più alcuno spazio alla discrezionalità di scelta del preside. Ma se il capo d’istituto viene privato della possibilità di scegliersi almeno in parte la propria compagine di docenti, valutandone il profilo e l’adeguatezza ai bisogni della scuola, è difficile allora capire come possa essere fondatamente valutato.
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